Ricorso della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con  sede  in
Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia,  n.  1,  in  persona  del
Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata  e  difesa,  in
forza di procura a margine del  presente  atto  ed  in  virtu'  della
Deliberazione di Giunta regionale n. 2922 seduta del 19 dicembre 2014
(doc. 1), dal Prof. Avv. Giovanni  Guzzetta  (C.F.  GZZGNN66E16F158V;
pec:   giovanniguzzetta@ordineavvocatiroma.org;   fax.   06/6789560),
presso il cui studio in  Roma,  via  Federico  Cesi,  72,  ha  eletto
domicilio e dall'Avv. Viviana  Fidani  (C.F.  FDNVVN56L44D122W;  pec:
vivianafidani@milano.pecavvocati.it) - ricorrente - contro il Governo
della  Repubblica,  in  persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri pro-tempore, con sede  in  Roma  (00187),  Palazzo  Chigi  -
Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale
dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi, 12  -
resistente. 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale   del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito,  con  modifiche,
dalla legge 11 novembre 2014, n. 164,  recante  "Misure  urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive (SBLOCCA  ITALIA)",  pubblicata  sulla  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana dell'11 novembre  2014,  n.  262,
limitatamente all'art. 35, di tale atto normativo. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133,  convertito  con
modifiche dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il Governo ha  varato
"Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la  semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive", ritenuta, per quanto qui interessa,  "la
straordinaria necessita' e urgenza di emanare disposizioni in materia
ambientale per (...) il  superamento  di  eccezionali  situazioni  di
crisi connesse alla gestione dei rifiuti". 
    2. In particolare, l'art. 35, dell'atto normativo  in  esame,  ha
introdotto "Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di
un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e  per
conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di  riciclaggio.
Misure urgenti per la gestione e per la  tracciabilita'  dei  rifiuti
nonche' per il recupero dei beni in polietilene". 
    3. Il primo comma della norma in commento, affida ad  un  decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare,  su  proposta
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,
entro 90 giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni  e  le  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,
l'individuazione  della  capacita'  complessiva  di  trattamento   di
rifiuti urbani  e  assimilati  degli  impianti  di  incenerimento  in
esercizio  o  autorizzati  a  livello  nazionale,  con  l'indicazione
espressa della capacita' di ciascun impianto. Inoltre, sempre con  lo
stesso  decreto,  vengono   individuati   anche   gli   impianti   di
incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e  assimilati
da realizzare per coprire  il  fabbisogno  residuo,  determinato  con
finalita' di progressivo riequilibrio socio-economico tra le aree del
territorio nazionale e  nel  rispetto  degli  obiettivi  di  raccolta
differenziata e di riciclaggio, tenendo  conto  della  pianificazione
regionale. 
    Gli impianti in questione vengono qualificati come infrastrutture
e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale  ai  fini
della tutela della salute e dell'ambiente. 
    4. Il secondo comma dell'art. 35, stabilisce che per  i  medesimi
fini di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei Ministri,  su
proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio  e
del mare, entro 180 giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della
legge  di  conversione  del  decreto  in  questione,   effettui   una
ricognizione dell'offerta esistente e individui con  proprio  decreto
il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica
dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato  per
Regioni. Inoltre, le Regioni e  le  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano, sino alla definitiva realizzazione degli impianti  necessari
per l'integrale copertura  del  fabbisogno  residuo  determinato  dal
decreto,  possono  autorizzare,   se   tecnicamente   possibile,   un
incremento fino al 10% della capacita' degli impianti di  trattamento
dei rifiuti. 
    5. Il terzo comma della disposizione in esame,  prevede  che  gli
impianti di recupero energetico da rifiuti,  sia  esistenti,  sia  da
realizzare, siano autorizzati a saturazione del carico termico,  come
previsto dall'art. 237-sexies del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152, qualora sia stata valutata  positivamente  la  compatibilita'
ambientale  dell'impianto  in  tale  assetto  operativo,  incluso  il
rispetto delle disposizioni sullo stato della qualita'  dell'aria  di
cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. 
    Le autorita' competenti devono, entro 90 giorni  dall'entrata  in
vigore della legge di conversione  del  decreto-legge  in  questione,
adeguare  le  autorizzazioni  integrate  ambientali  degli   impianti
esistenti, qualora la valutazione di  impatto  ambientale  sia  stata
autorizzata  a   saturazione   del   carico   termico,   tenendo   in
considerazione lo stato della qualita' dell'aria  come  previsto  dal
citato decreto legislativo n. 155 del 2010. 
    6. Il quarto comma della norma in esame, dedicato  agli  impianti
di futura realizzazione, stabilisce che i  medesimi  dovranno  essere
realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero
energetico R1, di  cui  all'allegato  C  alla  parte  IV  del  Codice
dell'Ambiente. 
    7. Il quinto  comma  dell'art.  35,  invece,  si  riferisce  agli
impianti gia' esistenti. Le competenti autorita' devono provvedere  a
verificare, entro 90 giorni dalla data di  entrata  in  vigore  della
legge  di  conversione,  la  sussistenza   dei   requisiti   per   la
qualificazione degli impianti  medesimi  come  impianti  di  recupero
energetico R1, adeguando in tal senso e nello stesso  termine  di  90
giorni le autorizzazioni integrate ambientali,  ove  ne  ricorrano  i
presupposti. 
    8. Ancora, il comma sesto della  norma  in  commento  impone  che
negli impianti di recupero energetico sia assicurata la priorita'  di
accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale  fino  al
soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilita'
residua autorizzata, al trattamento di  rifiuti  urbani  prodotti  in
altre Regioni. 
    La disposizione prevede, altresi',  che  siano  ammessi,  in  via
complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo  rischio  infettivo
nel rispetto del principio di prossimita' sancito dall'art.  182-bis,
comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e  delle
norme generali in materia, a condizione che l'impianto sia dotato  di
sistema di  caricamento  dedicato  a  bocca  di  forno,  che  escluda
qualsiasi  contatto  tra  il  personale  addetto  e  il  rifiuto.  Le
autorizzazioni integrate ambientali devono essere adeguate  ai  sensi
del sesto comma. 
    9. Il settimo comma dell'art. 35, prevede  il  versamento  di  un
contributo da parte dei gestori  degli  impianti,  determinato  dalla
Regione nella misura massima di 20 euro  per  tonnellata  di  rifiuto
urbano indifferenziato, se  questa  proviene  da  altre  Regioni.  Si
ammette, quindi, il caso in cui impianti di  recupero  energetico  di
rifiuti urbani localizzati in una Regione smaltiscano rifiuti  urbani
prodotti in altre Regioni. Il contributo deve essere  versato  in  un
fondo regionale, destinato  alla  prevenzione  della  produzione  dei
rifiuti,   all'incentivazione   della   raccolta   differenziata,   a
interventi di bonifica ambientale e al contenimento delle tariffe  di
gestione dei rifiuti urbani. Il contributo e' corrisposto annualmente
dai gestori degli impianti localizzati nel territorio  della  Regione
che riceve i rifiuti. Nessun onere derivante  dallo  smaltimenti  dei
rifiuti di provenienza  extraregionale  puo'  essere  traslato  sulle
tariffe poste a carico dei cittadini. 
    10. Il comma otto dell'art. 35, stabilisce  il  dimezzamento  dei
termini  di  espletamento  delle  procedure  di  espropriazione   per
pubblica utilita'. Per i procedimenti in corso alla data  di  entrata
in vigore del decreto in commento, i termini residui sono ridotti  di
un quarto. Viceversa, i termini previsti dalla  legislazione  vigente
per  le  procedure  di  valutazione  di  impatto  ambientale   e   di
autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma  1
si considerano perentori. 
    11. Il nono comma dell'art. 35, prevede l'applicazione del potere
sostitutivo del Governo ex art. 8, legge n.  131/2003,  nel  caso  di
mancato rispetto dei termini di cui al comma 3  (modifica  delle  AIA
degli  impianti  esistenti  con  autorizzazione  degli   impianti   a
saturazione  del  carico  termico,  entro  90  giorni),  al  comma  5
(valutazione della compatibilita' degli  impianti  esistenti  con  le
caratteristiche  degli  impianti  di  recupero   R1,   ed   eventuale
adeguamento delle relative AIA,  entro  90  giorni),  e  al  comma  8
(dimezzamento dei termini dei procedimenti di espropriazione per P.U,
riduzione di un quarto dei termini  residui  per  i  procedimenti  di
espropriazione per RU in corso alla data di  entrata  in  vigore  del
decreto in commento, termini previsti dalla legislazione vigente  per
le procedure di VIA e di AIA si considerano perentorio). 
    12. Il comma 10 dell'art. 35, prevede l'inserimento delle  parole
", anche avvalendosi della societa' Consip Spa,  per  lo  svolgimento
delle relative  procedure,  previa  stipula  di  convenzione  per  la
disciplina dei relativi rapporti" al comma  9-bis  dell'art.  11  del
decreto-legge n. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 125/2013, dopo le  parole  "il  Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare". 
    13. Il comma 11 dell'art. 35 del d.-l. 133/2014,  convertito  con
modifiche dalla l. n. 164/2014, prevede che all'art. 182 del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, dopo il
comma 3 sia inserito un comma successivo, il 3-bis, che sancisce  che
il divieto di cui al comma 3 non si applica ai rifiuti urbani che  il
Presidente della Regione ritiene necessario  avviare  a  smaltimento,
nel rispetto della normativa  europea,  fuori  dal  territorio  della
Regione dove sono prodotti per fronteggiare situazioni  di  emergenza
causate da calamita' naturali per le quali e' dichiarato lo stato  di
emergenza di protezione civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992,
n. 225. 
    14. Il comma 12 della disposizione in  commento  modifica  l'art.
234 del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,  abrogandone  il
comma 2; aggiungendo al comma 3 l'introduzione di  un  rappresentante
indicato da  ciascuna  associazione  maggiormente  rappresentativa  a
livello nazionale delle categorie  produttive  interessate,  nominato
con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e  del  mare,  sentito  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  al
consiglio di amministrazione del  consorzio;  infine  aggiungendo  al
comma 13 dell'art. 234 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
la previsione di un contributo percentuale di riciclaggio,  stabilito
in misura variabile, in relazione  alla  percentuale  di  polietilene
contenuta nel bene e alla durata temporale del bene stesso. 
    15.  Infine,  il  comma  13  dell'art.  35,   prevede   che   fmo
all'emanazione del decreto di cui  al  comma  13  dell'art.  234  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.   152,   come   modificato
dall'articolo in commento, i contributi previsti  dal  medesimo  art.
234, commi 10 e 13, siano dovuti nella misura del  30%  dei  relativi
importi. 
    16. Le norme introdotte dall'art. 35, del d-l. n. 133  del  2014,
sono avvinte da numerosi profili di  illegittimita',  e  meritano  di
essere dichiarate incostituzionali da codesta Ecc.ma Corte alla  luce
dei seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I.  Incostituzionalita'  del  d-l.  12  settembre   2014,   n.   133,
convertito, con modifiche, dalla legge dell'11 novembre 2014, n. 164,
e  dell'articolo  35,  di  tale  atto   normativo,   per   violazione
dell'articolo 77, comma 2, della Costituzione, in combinato  disposto
con l'articolo 117, secondo e terzo comma. 
    1. In  primo  luogo,  l'art.  35,  del  d-1.  n.  133  del  2014,
convertito, con modifiche dalla legge dell'11 novembre 2014, n.  164,
deve  essere  dichiarato  incostituzionale  per   insussistenza   dei
presupposti di cui all'art. 77, secondo  comma,  della  Costituzione,
che  ammette  la  decretazione  d'urgenza   all'esclusivo   fine   di
fronteggiare casi straordinari di necessita' ed urgenza. 
    Come  ha  recentemente  chiarito  codesta  Ecc.ma  Corte  con  la
pronuncia n. 220 del 2013, l'adozione di un  decreto-legge  trova  la
propria  legittimazione  esclusivamente  nella  sussistenza  di  casi
straordinari che necessitino di essere  disciplinati  immediatamente,
in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'. 
    Per questo motivo, peraltro, il legislatore  ordinario,  con  una
norma di portata generale, ha previsto  che  il  decreto-legge  debba
contenere "misure di immediata applicazione" (art. 15, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400). La Consulta ha  riconosciuto  come  la
norma  in  esame,  pur  non  avendo,   sul   piano   formale,   rango
costituzionale,  esprima  ed  espliciti  cio'  che   deve   ritenersi
intrinseco alla natura stessa del decreto-legge,  che  entrerebbe  in
contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni
destinate ad avere effetti pratici differiti  nel  tempo,  in  quanto
recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla  costruzione
di un nuovo sistema di gestione dei rifiuti (cfr. sentenza n. 22  del
2012). 
    Va infine ribadito che, come ripetutamente affermato  da  codesta
ecc.ma Corte, il vizio che affligge il decreto-legge con  riferimento
ai suoi presupposti abilitativi non puo' considerarsi sanato  per  il
fatto dell'intervenuta conversione (cfr. ex plurimis sentt.  29/1995,
341/2003, 178 2004 e 171/2007). 
    Per quanto riguarda il caso qui in esame,  deve  osservarsi  che,
sebbene il preambolo del d-l. n. 133/2014 riconosca "la straordinaria
necessita' e urgenza di emanare disposizioni  in  materia  ambientale
per (...) il superamento di eccezionali situazioni di crisi  connesse
alla gestione dei rifiuti", in realta', il  problema  della  gestione
dei rifiuti sia tutt'altro che eccezionale e accidentale. 
    E' fin troppo noto, infatti,  che  la  necessita'  di  interventi
strutturali sul sistema della gestione  dei  rifiuti  sul  territorio
italiano non sia affatto una circostanza accidentale e  sopravvenuta,
che puo' essere ricollegata ad un "caso straordinario", passibile, in
quanto tale, di essere disciplinato in via d'urgenza. 
    Ne sono conferma le varie procedure di  infrazione  gia'  avviate
dall'Unione europea contro  l'Italia  per  mancato  adeguamento  alle
direttive di settore, nonche' i numerosi interventi del  legislatore,
nazionale e regionale, in materia, come pure i tristemente noti fatti
di cronaca anche piu' recente. 
    Di conseguenza,  affidare  la  risoluzione  di  una  problematica
radicata e strutturale alla decretazione d'urgenza si mostra  elusivo
dei principi di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione. 
    2.  La  "risposta"  operata  con  il  decreto-legge  in  oggetto,
convertito dalla legge n. 164/2014, peraltro, non si presenta nemmeno
in termini di soluzione "emergenziale" in  attesa  di  una  ipotetica
revisione complessiva della disciplina,  ma  si  propone  -  in  modo
incompatibile con i presupposti costituzionali  richiesti  e  con  la
conseguente natura circostanziata delle soluzioni normative  divisate
- di realizzare  e  attuare  un  "sistema  adeguato  e  integrato  di
gestione dei  rifiuti  urbani  e  per  conseguire  gli  obiettivi  di
raccolta differenziata e di riciclaggio" qualificando, altresi',  gli
impianti interessati come "infrastrutture e  insediamenti  strategici
di preminente interesse nazionale, (...)  garantiscono  la  sicurezza
nazionale nell'autosufficienza, consentendo di superare  e  prevenire
ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle  norme
europee  di  settore  e  limitano  il  conferimento  di  rifiuti   in
discarica". 
    In questa prospettiva non si puo' non cogliere una  finalita'  di
riassetto ordinamentale, del tutto estranea alla natura  del  vettore
normativo utilizzato, con conseguente illegittima compressione  delle
competenze legislative e amministrative che alle Regioni spettano  in
relazione a tali interventi di carattere "ordinamentale". 
    Con riserva di ulteriore approfondimento in seguito, non si  puo'
negare, infatti, che l'intervento intersechi,  anche  sulla  base  di
quanto chiarito  da  codesta  Ecc.ma  Corte,  profili  di  competenza
materiale quali la tutela della salute, il governo del territorio  (e
in particolare la localizzazione  degli  impianti)  e  la  produzione
dell'energia (attesa la finalita' del decreto, rivolto "a  conseguire
la sicurezza nazionale nell'autosufficienza"  -  evidentemente  anche
energetica - ed a potenziare gli "impianti di recupero energetico  di
cui al punto R1 (nota 4),  allegato  C,  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006 n. 152", anche mediante l'imposto utilizzo "a saturazione
del carico termico"). 
    Quella  che  vorrebbe  introdursi  attraverso   la   decretazione
d'urgenza, insomma, costituisce una vera e propria riforma organica e
di sistema, volta a risolvere un problema  "strutturale"  del  nostro
Paese, che come tale non puo' trovare la propria legittimazione in un
decreto-legge. 
    Sotto ulteriore, ma concorrente profilo, le misure introdotte dal
contestato art. 35, del resto, non possono  nemmeno  considerarsi  di
immediata applicazione, anche in considerazione dei profili  e  delle
competenze  tecnico-amministrative  ad  esse   connesse,   le   quali
presuppongono  tempi  ed   accertamenti   istruttori   amministrativi
complessi. 
    Si chiede, dunque,  che  venga  dichiarata  l'incostituzionalita'
dell'art. 35, del d-l. n. 133/2014, sotto il profilo in esame. 
    3.  In  secondo  luogo,  il  d-l.  n.  133/2014,  convertito  con
modifiche  dalla  l.  n.  164/2014,  come  pure,  specificamente,  il
relativo art. 35, meritano di essere dichiarati incostituzionali  per
difetto di omogeneita' e di  coerenza  delle  misure  introdotte  dal
Governo. 
    Quanto all'intero atto normativo, l'estrema  eterogeneita'  degli
interventi   adottati   e'   ravvisabile   sin   dall'epigrafe    del
provvedimento  ("Misure  urgenti  per  l'apertura  dei  cantieri,  la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione  del  Paese,
la   semplificazione   burocratica,    l'emergenza    del    dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive"). Essa  e'
resa ancora piu' evidente dal  relativo,  ampio,  preambolo,  ove  si
attesta la straordinaria necessita'  ed  urgenza  di  provvedere  con
misure volte tanto ad "accelerare e semplificare la realizzazione  di
opere infrastrutturali strategiche, indifferibili e urgenti,  nonche'
per  favorire  il  potenziamento  delle  reti   autostradali   e   di
telecomunicazioni e migliorare la funzionalita' aeroportuale", quanto
a disciplinare la "materia ambientale per la mitigazione del  rischio
idrogeologico, la salvaguardia degli ecosistemi, l'adeguamento  delle
infrastrutture idriche e il superamento di eccezionali situazioni  di
crisi connesse alla  gestione  dei  rifiuti,  nonche'  di  introdurre
misure per garantire l'approvvigionamento energetico  e  favorire  la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali", quanto,  infine,
a realizzare la "semplificazione burocratica, il rilancio dei settori
dell'edilizia e immobiliare, il sostegno  alle  produzioni  nazionali
attraverso misure  di  attrazione  degli  investimenti  esteri  e  di
promozione del Made in Italy, nonche' per  il  rifinanziamento  e  la
concessione degli ammortizzatori sociali  in  deroga  alla  normativa
vigente al fine di assicurare  un'adeguata  tutela  del  reddito  dei
lavoratori e sostenere la coesione sociale". 
    Ad  analoghe  conclusioni  si  perviene,  ovviamente,   in   base
all'analisi delle disposizioni introdotte dai capi del  decreto-legge
impugnato. 
    Come  noto,  codesta  Ecc.ma  Corte  collega  il   riconoscimento
dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77,  secondo
comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in  un
decreto-legge, o dal punto di vista  oggettivo  e  materiale,  o  dal
punto di vista funzionale e finalistico (cfr. sentt. n. 171 del 2007,
n. 121 del 2008). 
    Recentemente codesta  Corte  ha  ulteriormente  evidenziato,  sul
punto, che l'art. 15, comma 3, della legge 23  agosto  1988,  n.  400
(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri) - la' dove prescrive che il contenuto del
decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo  e  corrispondente  al
titolo» - pur non avendo, in se' e  per  se',  rango  costituzionale,
costituisce esplicitazione della ratio implicita  nel  secondo  comma
dell'art. 77 Cost.,  il  quale  impone  il  collegamento  dell'intero
decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza,  che  ha
indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare
la  funzione  legislativa  senza  previa  delegazione  da  parte  del
Parlamento (Corte cost., sent. n. 22 del 2012). 
    4. Deve evidenziarsi, da ultimo, quanto all'ammissibilita'  della
presente eccezione, che  i  vizi  sopra  denunciati  ridondano,  come
anticipato, nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della
Regione Lombardia e  nel  vulnus  della  sua  autonomia  finanziaria,
costituzionalmente  tutelati  dall'art.  117,   terzo   comma   della
Costituzione. 
    In particolare, la disciplina introdotta dal Governo incide sulle
competenze  regionali  in  materia  di  governo  del  territorio,  di
pianificazione territoriale ed urbanistica, di tutela  della  salute,
di produzione dell'energia, di coordinamento della finanza  regionale
e del sistema tributario, di servizi pubblici locali. 
    Piu'  precisamente,  le  norme  contestate  recano  significative
ripercussioni sulla  programmazione  regionale  lombarda  di  recente
approvazione,  in  particolare  sull'autosufficienza  riguardante  lo
smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati.
Peraltro, nel quadro degli obiettivi della nuova  pianificazione,  la
Regione  ha  attivato  dei  tavoli  di   lavoro   con   operatori   e
amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva
competenza, anche al  fine  di  sperimentare  la  decommissioning  di
alcuni impianti. 
    Inoltre,  l'autorizzazione  generalizzata  degli   impianti   con
saturazione del carico termico, con le conseguenti  ripercussioni  in
termini di  emissioni,  puo'  risultare  penalizzante  rispetto  alle
specifiche condizioni sanitarie delle aree interessate dalla presenza
di  questi  impianti,  specie  nel  territorio  del  bacino   padano,
caratterizzato da condizioni climatiche favorevoli all'accumulo degli
inquinanti. La misura, dunque, incide sulla competenza  regionale  in
materia  di  tutela  della  salute,  vanificando   gli   accertamenti
istruttori gia'  compiuti  dalle  competenti  autorita'  all'atto  di
concessione dell'autorizzazione integrata degli impianti. 
    Da ultimo, deve rilevarsi  che  il  sistema  di  smaltimento  dei
rifiuti in Regione Lombardia e' stato gestito in modo tale da  creare
delle condizioni concorrenziali, che hanno ottimizzato la tariffa  di
smaltimento per il servizio al cittadino;  la  disciplina  introdotta
dalle norme impugnate, con il conseguente  ingresso  nel  mercato  di
ulteriori rifiuti a costi nuovamente negoziabili, potrebbe comportare
anche  l'aggravio  della  tariffa  per  i  cittadini  lombardi,   con
conseguente compressione dell'autonomia finanziaria di entrata  della
Regione. 
    Da  quanto  detto  discende   l'ammissibilita'   della   presente
questione di legittimita' costituzionale. Codesta Corte, infatti, con
giurisprudenza costante, ritiene che le Regioni possano impugnare  un
decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione  dell'art.
77  Cost.,  "ove  adducano  che  da  tale   violazione   derivi   una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004; cfr. anche sentt. nn. 128 del 2011, 326 del 2010, 116 del 2006,
280 del 2004). Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  si
insiste  per  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 35, del d-l. 12 settembre  2014,  n.  133,  convertito  con
modifiche dalla legge  n.  164/2014,  per  violazione  dell'art.  77,
secondo comma, della Costituzione, in combinato disposto  con  l'art.
117, commi secondo e terzo, Cost.. 
II. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d-l. 12 settembre 2014,  n.
133, convertito con modifiche dalla legge dell'11 novembre  2014,  n.
164,  per  violazione  degli  articoli  11  e  117,  comma  1,  della
Costituzione, in relazione alla direttiva 2001/42/CE (c.d.  direttiva
VAS), in combinato disposto con l'art. 117, secondo  e  terzo  comma,
Cost. 
    1. Come si e' anticipato in fatto, l'art. 35, del d-l. n. 133 del
2014, convertito con modifiche dalla 1. 164 del  2014,  contempla  un
vero e proprio programma integrato  nazionale  per  la  gestione  dei
rifiuti urbani e speciali mediante impianti di  recupero  energetico.
La norma stabilisce, infatti, che gli impianti di  recupero  inseriti
nel D.P.C.M. di cui al comma 1, sono qualificati come  infrastrutture
di preminente interesse nazionale, che attuano un sistema integrato e
moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati,  che  i  medesimi
devono essere autorizzati ad operare a saturazione del carico termico
e che dovranno rispondere alle caratteristiche degli impianti R1. 
    Insomma, quello individuato dalla norma impugnata costituisce  un
vero e proprio atto di pianificazione  in  materia  di  gestione  dei
rifiuti. 
    Come tale, allora, alla luce della Direttiva 2001/42/CE, recepita
nell'ordinamento italiano dal d.lgs. n. 152/2006, detto piano avrebbe
dovuto essere assoggettato alla valutazione ambientale strategica, la
quale deve precedere, ex art. 3,  par.  2,  lett.  a),  della  citata
Direttiva, "tutti i piani e i programmi che sono elaborati (...)  per
la valutazione della gestione  dei  rifiuti"  (negli  stessi  termini
dispone l'art.  6,  comma  2,  lett.  a),  dell'attuativo  d.lgs.  n.
152/2006). 
    Ancora, l'art. 4 della Direttiva, rubricato "Obblighi  generali",
stabilisce che "la valutazione ambientale  di  cui  all'art.  3  deve
essere effettuata durante  la  fase  preparatoria  del  piano  o  del
programma ed  anteriormente  alla  sua  adozione  o  all'avvio  della
relativa procedura legislativa". 
    Ai sensi degli articoli da 5 a  12  della  menzionata  direttiva,
poi, la procedura di VAS  deve  comprendere  lo  svolgimento  di  una
verifica   di   assoggettabilita',   l'elaborazione   del    rapporto
ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano
o del programma, del rapporto  e  degli  esiti  delle  consultazioni,
l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e
il monitoraggio. 
    Alla luce di quanto precede, l'art. 35, del d-l. n. 133 del 2014,
convertito  con  modifiche   dalla   l.   n.   164/2014   si   mostra
incostituzionale,  per  violazione  dell'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione, in  relazione  ai  suddetti  obblighi  stabiliti  dalla
Direttiva VAS, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale
in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver  dato  luogo
alla necessaria  procedura  di  VAS,  con  cio'  violando  gli  scopi
perseguiti dal legislatore europeo. 
    2. Ne' si dica che  le  suddette  norme  europee  in  materia  di
valutazione ambientale  strategica  non  riguarderebbero  l'attivita'
legislativa degli Stati membri. 
    In senso contrario depongono, in primo luogo, gli articoli 2 e  4
della Direttiva. Il primo stabilisce  che  per  "piani  e  programmi"
devono intendersi anche quelli "che  sono  previsti  da  disposizioni
legislative" (art. 2, lett. a)); il secondo, come accennato,  prevede
che la procedura di VAS debba essere avviata "anteriormente all'avvio
della procedura legislativa" di adozione del piano o programma.  Alle
considerazioni di ordine testuale si aggiunga anche che, ad  accedere
a siffatta interpretazione, gli obblighi imposti  a  livello  europeo
sarebbero facilmente eludibili dallo Stato,  che  potrebbe  occultare
sotto il nomen juris dell'atto normativo un provvedimento che reca in
se' i connotati essenziali di un atto di programmazione generale,  il
quale  deve  essere  obbligatoriamente  sottoposto  alla   prescritta
valutazione di impatto. 
    E' appena il caso di dire che una diversa  interpretazione  della
direttiva  in   contrasto   con   il   suo   significato   letterale,
richiederebbe  a  codesta  Corte   di   investire   mediante   rinvio
pregiudiziale ex art. 267 TFUE  la  Corte  di  Giustizia  dell'Unione
europea, onde verificare se  l'interpretazione  del  diritto  europeo
offerta  dal  giudice  sovranazionale  consenta  di  considerare   la
normativa qui impugnata con essa compatibile. 
    In secondo luogo, anche  a  voler  ritenere  che  il  legislatore
statale sia sottratto,  nell'esercizio  della  funzione  legislativa,
all'osservanza delle procedure in materia di VAS, nell'ipotesi in cui
queste ultime possano  essere  esperite  al  momento  dell'attuazione
della legge, la norma impugnata sarebbe comunque illegittima. 
    L'art. 35, del d-l. n. 133/2014, convertito con l.  n.  164/2014,
infatti,  non  contempla  in  assoluto  l'esperimento   di   siffatte
procedure,  nemmeno  nel  momento  attuativo,  e  specificamente  per
l'adozione del decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
chiamato ad individuare gli  impianti  di  recupero  esistenti  o  da
realizzare sul territorio  nazionale,  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi perseguiti dalla norma. E' evidente, infatti, che la scelta
degli impianti da  considerare  quali  infrastrutture  di  preminente
interesse  nazionale  ("con  proprio  decreto,  individua  a  livello
nazionale la capacita' complessiva di trattamento di rifiuti urbani e
assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati
a livello nazionale, con l'indicazione espressa  della  capacita'  di
ciascun impianto,  e  gli  impianti  di  incenerimento  con  recupero
energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare  per  coprire
il fabbisogno  residuo,  determinato  con  finalita'  di  progressivo
riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio  nazionale  e
nel  rispetto  degli  obiettivi  di  raccolta  differenziata   e   di
riciclaggio", art. 35,  comma  1,  del  d-l.  convertito  con  la  l.
164/2014,), con le conseguenze delineate dal legislatore  in  termini
di operativita' al massimo del carico termico e  di  trattamento  dei
rifiuti  al  fine   di   garantire   l'autosufficienza,   costituisca
un'operazione di rilevantissimo impatto ambientale. 
    Il Governo, dunque, avrebbe dovuto necessariamente prevedere  che
la  stessa  venisse  assoggettata  a  VAS,  anche  alla  luce   della
necessita'  di  definire  criteri  univoci   per   la   distribuzione
territoriale degli impianti,  e  per  la  valutazione  degli  impatti
discendenti dalle scelte localizzative  da  assumere.  La  disciplina
censurata,  insomma,  elude  le  finalita'  perseguite  dalla  citata
Direttiva, quali quella di garantire un elevato livello di protezione
dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle  considerazioni
ambientali    all'atto     dell'elaborazione,     dell'adozione     e
dell'approvazione dei piani e programmi, assicurando che  i  medesimi
siano coerenti e contribuiscano  alle  condizioni  per  uno  sviluppo
sostenibile. 
    3. Anche in questo caso, da ultimo, e' bene  evidenziare  che  le
dedotte violazioni arrecano un vulnus alle competenze attribuite alla
Regione  Lombardia.  In  particolare,  come  si  e'  gia'  ampiamente
argomentato nel  precedente  motivo,  la  disciplina  introdotta  dal
Governo incide sulle competenze regionali in materia di  governo  del
territorio,  di  pianificazione  territoriale  ed   urbanistica,   di
produzione dell'energia,  di  servizi  pubblici  locali,  nonche'  in
materia  di  tutela  della  salute,  appartenenti   alla   competenza
legislativa concorrente e  residuale  delle  Regioni.  Per  onere  di
brevita', si rimanda dunque a tutte le  considerazioni  gia'  esposte
nel I motivo di ricorso, le quali confermano  l'ammissibilita'  della
presente eccezione, in quanto la normativa censurata determina, anche
a fronte delle censure qui  dedotte,  una  lesione  delle  competenze
regionali stabilite dalla Costituzione. 
    4. Ne' potrebbe in senso contrario sostenersi che, a fronte della
finalita'  anche  di  tutela  ambientale  dell'intervento,  la  quale
costituisce, secondo l'interpretazione  di  codesta  Corte,  un  c.d.
"materia trasversale", le attribuzioni  regionali  dovrebbero  subire
una indiscriminata  compressione,  sino  alla  totale  pretermissione
rispetto all'interesse ambientale. 
    Tale premessa infatti non potrebbe essere condivisa per  distinte
e concorrenti ragioni. 
    Innanzitutto, perche' la  finalita'  ambientale  non  e'  l'unica
perseguita  dall'intervento  normativo  statale.   Il   primo   comma
dell'art. 35,  infatti,  non  menziona  nemmeno,  esplicitamente,  la
finalita' ambientale, ma si sofferma sulla  finalita'  di  assicurare
"la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare  e  prevenire
ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle  norme
europee  di  settore  e  limitano  il  conferimento  di  rifiuti   in
discarica",  soggiungendo,  a  proposito  dell'individuazione   degli
impianti, che la finalita' e' quella  del  "progressivo  riequilibrio
socio-economico fra le aree del territorio nazionale". 
    Infine,  com'e'  noto,  codesta   Corte,   nel   riconoscere   la
particolare rilevanza costituzionale della tutela dell'ambiente nelle
politiche legislative, e la sua idoneita' a giustificare  alterazioni
del riparto  costituzionale  (su  cui  si  tornera'  infra  al  punto
successivo), ha costantemente e contestualmente riconosciuto che tali
alterazioni non debbano  essere  necessariamente  assolute  (cfr.  C.
cost., 58/2013; 93/2013), ma  che  vadano  accompagnate  da  adeguate
giustificazioni  in  termini   di   ragionevolezza,   adeguatezza   e
proporzionalita', nonche' da garanzie,  innanzitutto  procedimentali,
di tipo collaborativo. Sotto il primo profilo, ad esempio, la  Corte,
pur quando ha riconosciuto la prevalenza della  specifica  disciplina
statale  in  presenza  di  esigenze  ambientali  incomprimibili,   ha
comunque ammesso la residua potesta' delle Regioni di assicurare,  ad
esempio, livelli di tutela maggiori di quelli  previsti  dallo  Stato
(cfr. ad es. sent. 58/2013). 
    La questione e' vieppiu'  complessa  se  si  considera  che,  dal
complessivo intervento - finalizzato,  come  si  e'  detto,  anche  a
consentire (o comunque  a  non  escludere)  una  redistribuzione  dei
carichi di smaltimento tra le varie  Regioni  italiane  -  la  tutela
ambientale non si presenta in termini di un'operazione "win-win";  il
suo  esito  comporta   infatti   un   "trade-off"   tra   l'ipotetico
miglioramento ambientale complessivo sul territorio  nazionale  e  la
possibilita' di un concreto peggioramento relativo  delle  condizioni
ambientali delle singole Regioni, sulle quali l'impatto  della  nuova
disciplina produrra' con certezza i propri effetti in conseguenza del
riequilibrio imposto tra le aree e le condizioni di  smaltimento.  Se
si  considera  che  lo  stesso  decreto-legge   dichiara   che   tale
riequilibrio non viene operato solo per ragioni ambientali, ma  anche
per finalita' "di progressivo  riequilibrio  socio-economico  fra  le
aree del territorio nazionale" (art. 35, primo comma, d-l.),  ben  si
comprende come si debba escludere che l'intervento  possa  risolversi
in una pura e semplice espropriazione delle competenze legislative ed
amministrative regionali, senza peraltro una adeguata  "compensazione
collaborativa" (si veda infra il motivo III). 
    Stante quanto precede, la disciplina introdotta dall'art. 35, del
d-l. n. 133 del 2014, convertito con modifiche dalla l.  n.  164  del
2014 deve essere dichiarata incostituzionale per violazione dell'art.
117, primo comma della Costituzione, in relazione  agli  obblighi  in
materia di VAS  imposti  dalla  Direttiva  2001/42/CE,  in  combinato
disposto con l'art. 117, commi 2 e 3, Cost.. 
    In via  subordinata  si  chiede  che  sia  effettuato  un  rinvio
pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul  Funzionamento
dell'Unione Europea alla Corte di Giustizia dell'Unione  europea  per
la seguente questione di interpretazione della  direttiva  2001/42/CE
(CD. Direttiva VAS): "se gli artt. 1, 3, 4, 8 e  9  Dir.  2001/42/CE,
anche in combinato disposto ostino  all'applicazione  di  una  norma,
quale quella prevista dall'art. 35 comma 1 del  d-l.  convertito  con
modifiche dalla legge 11  novembre  2014,  n.  164,  recante  "Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle  attivita'  produttive  (SBLOCCA  ITALIA)",  pubblicata   sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dell'11  novembre  2014,
n. 262, la  quale  prevede  che  "il  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della  tutela  del
territorio e del mare, (...) con proprio decreto individua (...)  gli
impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e
assimilati  da  realizzare  per  coprire   il   fabbisogno   residuo,
determinato con finalita' di progressivo riequilibrio socio-economico
fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto  degli  obiettivi
di raccolta differenziata e  di  riciclaggio"  senza  prevedere  che,
all'atto  della  predisposizione  di  tale  piano,  si  applichi   la
disciplina di valutazione ambientale strategica cosi'  come  prevista
dalla menzionata direttiva. 
III. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d-l. 12 settembre 2014, n.
133, convertito con modifiche dalla legge dell'11 novembre  2014,  n.
164, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli  articoli  118  e  120  della  Costituzione.  Violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    1. Come noto, per costante giurisprudenza di  codesta  Corte,  la
disciplina  dei  rifiuti  si   colloca   nell'ambito   della   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva  statale  ex
art.  117,  comma  2,  lett.   s),   della   Costituzione.   Tuttavia
quest'ultima interferisce, per la sua natura, con altri  interessi  e
competenze, di talche', mentre deve intendersi riservato  allo  Stato
il  potere  di  fissare  livelli  di  tutela   uniforme   sull'intero
territorio  nazionale,  resta  comunque  ferma  la  competenza  delle
Regioni alla cura di interessi funzionalmente  collegati  con  quelli
propriamente ambientali (cfr. sent. n. 62 del 2008). 
    Alla luce della pervasivita'  della  materia  in  esame,  codesta
Consulta ha sottolineato come, qualora si  tratti  di  verificare  la
compatibilita'  costituzionale   di   norme   statali   che   abbiano
disciplinato il fenomeno della gestione dei rifiuti,  "e'  necessario
valutare se  l'incidenza  della  normativa  sulle  materie  regionali
immediatamente  contigue  sia  tale  da  compromettere   il   riparto
costituzionale di cui al titolo V della Parte II della  Costituzione,
oltre il limite della adeguatezza, rispetto alla citata finalita'  di
fissazione dei livelli di tutela uniformi" (in termini, sent. n.  249
del 2009; cfr. anche sent. 378 del 2007). 
    2. Cio' posto, l'art. 35, del d-l. n.  133/2014,  convertito  con
modifiche dalla l.  n.  164/2014,  introduce  misure  in  materia  di
gestione dei  rifiuti,  che  coinvolgono  le  competenze  di  diversi
livelli di Governo. Vengono in rilievo, in primo luogo, le competenze
regionali  e  locali  in  materia  di  governo  del  territorio,   di
pianificazione urbanistica ed edilizia, di produzione di energia,  di
gestione dei servizi pubblici locali, nonche' di tutela della salute. 
    L'intervento normativo in  esame,  tuttavia,  nel  perseguire  un
livello  uniforme  di  tutela  a  livello  nazionale  nella   materia
ambientale, compromette senz'altro, oltre il limite dell'adeguatezza,
le suddette sfere di competenza regionale. 
    Per quanto riguarda gli impatti sulla  pianificazione  regionale,
si osservi come le misure introdotte dal contestato  art.  35,  hanno
significative ripercussioni sulla programmazione regionale di recente
approvazione. Piu' precisamente, la  Giunta  regionale  lombarda,  su
indirizzo del Consiglio, ha adottato specifiche disposizioni (DGR  n.
497/2013  doc.  2  e  LR  n.  9/2013,  doc.  3),   per   evitare   un
sovradimensionamento di impianti di trattamento  dei  rifiuti  urbani
indifferenziati, eccedenza gia' evidente nelle analisi a supporto del
processo di nuova pianificazione regionale e di cui allo scenario  di
Piano al 2020 (doc. 4). 
    In tale scenario,  e  nell'ambito  degli  obiettivi  della  nuova
pianificazione per la gestione dei rifiuti,  la  Regione  inoltre  ha
attivato dei tavoli di lavoro con operatori e  amministratori  locali
per la valutazione tecnica di un'ipotesi di decommissioning di alcuni
impianti. 
    Le misure introdotte dall'art. 35, dunque, incidono e  vanificano
gli sforzi e gli  obiettivi  di  pianificazione  e  attuazione  delle
politiche regionali di questi anni, che hanno portato ad una tendenza
alla  diminuzione  della  produzione  di  rifiuti  urbani  pro-capite
stimabile intorno al -2%  (doc.  4),  e  alla  definizione  di  nuovi
obiettivi inerenti l'incremento della  raccolta  differenziata  e  di
prevenzione nella produzione  del  rifiuto,  obiettivi  previsti  nel
Piano di prossima approvazione. 
    Si consideri, sempre sotto il profilo in esame, come l'intervento
normativo contestato riguardi in particolare la Regione Lombardia, la
quale conta ben 11 impianti di  incenerimento  di  Piano/per  rifiuti
urbani (che costituiscono la piu'  ampia  dotazione  regionale  nella
gestione dei rifiuti urbani indifferenziati presente nel Paese). 
    3. Quanto, ancora, agli impatti sulla  tutela  della  salute,  va
osservato  come  gli  impianti  della   Regione   Lombardia   abbiano
ottimizzato il processo, l'adozione di sistemi di presidio ambientale
(abbattimento fumi e recupero  scorie),  e  il  recupero  del  calore
mediante reti di teleriscaldamento, in relazione  alle  tipologie  di
rifiuti  raccolti  e  alle  caratteristiche  di  questi  ultimi.   La
variazione  della  qualita'  del  rifiuto  alimentato   all'impianto,
conseguente  alla  normativa   introdotta   dal   Governo,   ridurra'
l'efficienza dei processi ottimizzati e aggravera' i relativi impatti
ambientali e sanitari. 
    Analogamente, va ancora una volta ribadito,  la  saturazione  del
carico termico sugli impianti che, ad oggi,  presentano  limitazioni,
imposta dall'art.  35,  non  tiene  in  alcun  conto  le  motivazioni
ambientali, territoriali e di tutela della salute che  hanno  indotto
l'Autorita'  competenze  all'apposizione  di  specifici  vincoli.  In
particolare, l'autorizzazione ad operare con saturazione  del  carico
termico potrebbe risultare penalizzante per le  condizioni  sanitarie
delle aree interessate dalla presenza di questi impianti, specie  nel
bacino  padano,  territorio   caratterizzato   da   forti   pressioni
antropiche e  condizioni  orografiche  e  meteoclimatiche  favorevoli
all'accumulo degli inquinanti, che in  caso  di  massima  saturazione
renderebbero difficile  il  conseguimento  del  rispetto  dei  valori
limite di qualita' dell'aria. 
    Stante   quanto   precede,   e'   evidente   come   il   Governo,
nell'introdurre la contestata disciplina uniforme, abbia  travalicato
i   limiti   di   adeguatezza   al   medesimo   imposti   a    fronte
dell'interferenza nelle sfere di attribuzione regionale,  vanificando
altresi' il  lavoro  pluriennale  svolto  in  Regione  Lombardia  per
ottenere l'autosufficienza in materia di gestione dei rifiuti, e  per
contenere, anche attraverso  il  rispetto  dei  principi  europei  di
prossimita',  le  conseguenze  a  livello  di  impatto  ambientale  e
sanitario derivanti dai processi di trattamento dei rifiuti. 
    4. Le considerazioni che precedono impongono la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d-l. n. 133 del 2014,
convertito  con  l.  n.  164/2014,  per   violazione   dei   principi
costituzionali  in  materia  di  riparto  delle  competenze   sanciti
dall'art. 117, commi secondo e terzo, della Costituzione. 
    Concorrono con la predetta  violazione  anche  ulteriori,  gravi,
profili  di  illegittimita'  delle  disposizioni  impugnate.  Ci   si
riferisce al fatto che  la  disciplina  contestata,  la  quale,  come
detto, incide su diverse materie di competenza  regionale,  quali  la
tutela della salute e il governo del territorio, o prevede una  forma
collaborativa con le Regioni  e  con  gli  altri  enti  territoriali,
interessati dal sistema  di  gestione  dei  rifiuti  pianificato  dal
legislatore, del tutto insufficiente (comma 1) ovvero non ne  prevede
alcuna (in particolare al comma 2 e al comma 9). 
    4.1.  In  particolare,  sotto  il  primo  profilo,  la  forma  di
collaborazione sancita dal  comma  1  non  puo'  ritenersi  adeguata.
Prevedendo che, con proprio decreto, il Presidente del Consiglio  dei
Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della  tutela  del
territorio e del mare,  "sentita"  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
Bolzano, individua a livello nazionale la  capacita'  complessiva  di
trattamento  di  rifiuti  urbani  e  assimilati  degli  impianti   di
incenerimento in esercizio o autorizzati  a  livello  nazionale,  con
l'identificazione espressa della capacita' di ciascun impianto, e gli
impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e
assimilati da realizzare per  coprire  il  fabbisogno  residuo,  tale
disposizione  -  richiedendo  che  la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
Bolzano sia chiamata ed esprimere un  mero  parere  -  disattende  la
forma di intesa "forte" richiesta secondo la giurisprudenza  costante
di codesta Ecc.ma Corte. 
    4.2. A cio' si aggiunga che, il comma 2 dell'art. 35,  il  quale,
per i medesimi fini di cui al comma 1, prevede che il Presidente  del
Consiglio dei Ministri, su  proposta  del  Ministro  dell'ambiente  e
della  tutela  del  territorio  e  del  mare,  con  proprio  decreto,
individui  il  fabbisogno  residuo  di  impianti  di  recupero  della
frazione  organica   dei   rifiuti   urbani   raccolta   in   maniera
differenziata,  articolato  per  Regioni,  esclude  ogni   forma   di
collaborazione con la Regione interessata, ledendo  il  principio  di
leale collaborazione. 
    5. Inoltre, il  comma  9,  nel  disciplinare  l'applicazione  del
potere sostitutivo da parte dello Stato sulla  Regione  nel  caso  di
mancato rispetto dei termini per adeguare le autorizzazione integrate
ambientali degli impianti esistenti (comma 3, art. 35), di quelli per
la verifica della sussistenza  dei  requisiti  per  la  qualifica  di
impianti di recupero energetico R1 degli impianti esistenti (comma 5)
e infine, dei termini per le procedure di espropriazione per pubblica
utilita' degli impianti, sia in corso che successive  all'entrata  in
vigore del decreto in commento, di quelle per la VIA e  per  la  AIA,
viola l'art. 120 della Costituzione  disciplinando  una  sostituzione
che non e' legittimata  dai  requisiti  costituzionalmente  previsti,
quali il mancato rispetto di norme di trattati internazionali o della
normativa comunitaria,  ovvero  la  tutela  dell'unita'  giuridica  o
economica e  la  tutela  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali. In assenza di uno o piu'  dei
requisiti essenziali la norma che prevede la sostituzione deve essere
dichiarata illegittima. 
    Si ritiene,  inoltre,  che  l'art.  35,  comma  9,  debba  essere
dichiarato incostituzionale in violazione  dell'art.  120,  comma  2,
della Costituzione, il quale nell'attribuire i poteri sostitutivi  al
Governo, impone alla legislazione attuativa di assicurare il rispetto
del  principio  di  leale  collaborazione  unitamente  a  quello   di
sussidiarieta'. Il primo, com'e' noto, richiede il coinvolgimento dei
destinatari del provvedimento sostitutivo, cioe' la Regione,  durante
il processo di sostituzione, previsione che il comma 9  dell'art.  35
disattende; il principio di sussidiarieta'  invece,  ammette  che  la
sostituzione  avvenga  nei  limiti  in   cui   risulti   strettamente
necessaria  a  garantire  le  esigenze  in  ragione  delle  quali  e'
costituzionalmente ammessa. 
    Alla disciplina sui poteri sostitutivi del Governo sono, infatti,
ispirate le regole procedimentali adottate dal legislatore  ordinario
nell'art. 8 della legge n. 131 del 2003,  che  prevedono  oltre  alla
fissazione  di  un  congruo  termine  per   provvedere,   l'audizione
dell'organo  inadempiente  in  attuazione  del  principio  di   leale
collaborazione. A cio' si aggiunga che la legge n.  131/2003  prevede
anche la riunione del Consiglio dei Ministri con il Presidente  della
Giunta regionale interessata  in  caso  sia  inutilmente  decorso  il
termine fissato, previsione che avvalora ulteriormente la tesi  della
necessita' di un procedimento di cooperazione  tra  Stato  e  Regione
interessata  che,  nell'art.  35,  comma   9,   viene   completamente
disatteso. 
    6. Infine, il comma 11, nel prevedere che il divieto di  smaltire
rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle  dove  gli
stessi sono prodotti,  fatti  salvi  eventuali  accordi  regionali  o
internazionali, qualora gli  aspetti  territoriali  e  l'opportunita'
tecnico-economica di raggiungere livelli ottimali di  utenza  servita
lo richiedano, di  cui  al  comma  5  dell'art.  182  del  d.lgs.  n.
152/2006, non si applica ai rifiuti urbani che  il  Presidente  della
Regione ritiene necessario avviare a smaltimento fuori dal territorio
della regione dove essi sono prodotti per fronteggiare situazioni  di
emergenza causate da calamita' naturali per le quali e' dichiarato lo
stato  di  emergenza  di  protezione  civile,  appare  anch'esso   in
contrasto con il  principio  di  leale  collaborazione  tra  stato  e
regioni e  tra  regioni.  La  regione  destinataria  dei  rifiuti  da
smaltire,  infatti,  non  e'  in  alcun  modo  messa  in   grado   di
interloquire sul destino dei rifiuti medesimi. 
    7. Come noto, in materia di tutela dell'ambiente questa Corte  ha
riconosciuto che "non si puo' discutere di materia in senso  tecnico,
perche'  la  tutela  ambientale   e'   da   intendere   come   valore
costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta  di
«materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze
diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato  spettano  le
determinazioni  rispondenti  ad  esigenze  meritevoli  di  disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale" (ex  multis:  sentenza  n.
171/2012, n. 235/2011, n. 225/2009, n. 12/2009). Ne consegue  che  il
legislatore statale e' tenuto  a  garantire  il  principio  di  leale
collaborazione, "che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle peculiarita' delle singole  situazioni"  ed  impone  alla  legge
statale di predisporre adeguati  strumenti  di  coinvolgimento  delle
regioni, a salvaguardia delle loro competenze (ex plurimis,  sentenze
n. 50/2005, n. 231/2005,213/2006, n. 133/2006). 
    Nulla di tutto cio' e' stato previsto nel caso di specie. 
    7.  Le  considerazioni  che  precedono  acquistano   ancor   piu'
rilevanza se si considera, come detto, che la policy  messa  in  atto
dal Governo  e'  destinata  a  creare  una  tensione  "interna"  alla
finalita' di tutela dell'ambiente, in quanto finisce per  mettere  in
contrapposizione l'esigenza  di  tutela  "nazionale"  con  quella  di
livello  regionale.  Cio'  rende   evidente   l'importanza   di   una
collaborazione tra gli enti interessati, volta a consentire - tramite
l'apporto di ognuno - il raggiungimento di un punto di  equilibrio  -
tra i tanti astrattamente possibili -  quanto  piu'  prossimo  ad  un
"ottimo paretiano", con  esclusione  di  soluzioni  che  sacrifichino
eccessivamente  un  interesse,  senza  assicurare  una  soddisfazione
relativamente ottimale dell'altro. 
    8.  Inoltre,  sempre   con   riferimento   all'uso   del   potere
sostitutivo, di cui al comma 9 dell'art. 35, va rilevato che  codesta
Corte ha chiarito  in  diverse  occasioni  che,  da  quanto  previsto
dall'art.  118  Cost.  deve  desumersi   anche   la   previsione   di
"eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro di governo per il
compimento di specifici atti o  attivita',  considerati  dalla  legge
necessari per il perseguimento degli interessi unitari  coinvolti,  e
non compiuti tempestivamente dall'ente competente"  (sentenza  n.  43
del 2004). In questa prospettiva, si e' tuttavia  precisato  che  non
puo' farsi discendere dall'art. 120, secondo comma, Cost. una riserva
a  favore  della  legge  statale  di  ogni  disciplina   del   potere
sostitutivo, dovendosi viceversa riconoscere che "la legge regionale,
intervenendo in materie di propria competenza e nel disciplinare,  ai
sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, e dell'art. 118,  primo  e
secondo comma,  Cost.,  l'esercizio  di  funzioni  amministrative  di
competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi  in  capo  ad
organi regionali, per il compimento di atti o attivita' obbligatorie,
nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente competente,
al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero  compromessi
dall'inerzia o  dall'inadempimento  medesimi"  (sentenza  n.  43  del
2004). 
    Le norme impugnate,  prevedendo  l'intervento  sostitutivo  dello
Stato nel caso in cui le autorita' competenti (Comuni, Province)  non
realizzino gli interventi contemplati dalla  norma,  realizza  dunque
una ipotesi di sostituzione statale che  si  attiva  direttamente  in
caso di inerzia  degli  enti  locali  in  riferimento  ad  ambiti  di
competenza regionale,  senza  che  sia  consentito  alle  Regioni  di
esercitare il proprio potere sostitutivo, ne' prevedendo alcuna forma
cooperativa con le Regioni medesime, con  conseguente  lesione  delle
relative attribuzioni (cfr. sentenza n. 249 del 2009). 
    Si  insiste,  dunque,  per  la  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 35, del d-l. n. 133 del 2014, convertito con
legge n. 164 del 2014, sotto tutti i profili innanzi esposti. 
IV. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d-l. 12 settembre 2014,  n.
133, convertito con modifiche dalla legge dell'11 novembre  2014,  n.
164, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con  l'art.  3  della  Costituzione.  Violazione  del  principio   di
ragionevolezza. 
    1. Come si e' ampiamente argomentato  nei  precedenti  motivi  di
ricorso, le norme introdotte dall'art.  35,  del  d-l.  n.  133/2014,
incidono su sfere di competenza della Regione, e coinvolgono, a vario
titolo, le competenze amministrative delle  autorita'  competenti  al
rilascio delle Autorizzazioni integrate ambientali,  alla  conduzione
delle procedure di VIA e delle operazioni di espropriazione per P.U. 
    Tali sfere e ambiti di competenza, oltre  ad  essere  lesi  sotto
tutti i profili sopra evidenziati, si mostrano altresi' menomati  per
manifesta irragionevolezza con  riferimento  a  quanto  previsto  dal
comma 8 dell'art. 35, il quale prevede la riduzione di un quarto  dei
termini residui per i procedimenti  di  espropriazione  per  pubblica
utilita' degli impianti di cui al comma  1  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore del decreto-legge, ponendosi  cosi'  in  violazione
del  principio  del  legittimo  affidamento   dei   destinatari   dei
provvedimenti. 
    Stante  quanto  precede,  si  insiste  per  la  declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d-l. n. 133 del 2014,
convertito con modifiche  dalla  legge  n.  164/2014  anche  sotto  i
profili appena esposti. 
V. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d-l. 12 settembre  2014,  n.
133, convertito con modifiche dalla legge dell'11 novembre  2014,  n.
164, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli articoli 81 e 119, comma 1, della Costituzione. 
    Da ultimo, l'art. 35, del d.l. n. 133 del  2014,  convertito  con
modifiche  dalla  l.  n.  164/2014,  merita  di   essere   dichiarato
incostituzionale per lesione dell'autonomia finanziaria di entrata  e
di spesa della Regione Lombardia, nonche'  dei  vincoli  inerenti  il
bilancio regionale, rispettivamente previsti dagli articoli 119 e  81
della Costituzione. 
    Come si e' gia' avuto modo di argomentare,  ad  altri  fini,  nei
precedenti motivi di ricorso, le misure introdotte dalla disposizione
impugnata  hanno  significative  ripercussioni  sulla  programmazione
regionale di recente approvazione. 
    In particolare, si ribadisce che gli sforzi di  pianificazione  e
attuazione delle politiche regionali di questi anni (cfr. DGR n.  497
del 2013doc. 2 e Lr. n. 9 del 2013, doc.  3)  hanno  portato  ad  una
tendenza  della  diminuzione  della  produzione  di  rifiuti   urbani
pro-capite stimabile intorno al -2% (doc. 4) e  alla  definizione  di
nuovi obiettivi inerenti l'incremento della raccolta differenziata  e
la prevenzione o nella produzione del rifiuto. La l.r. n. 9 del 2013,
inoltre, ha sancito il principio di autosufficienza  regionale  nella
gestione dei rifiuti. 
    Ora,   le   misure    introdotte    dal    Governo    incideranno
significativamente sugli equilibri economici raggiunti, sotto diversi
profili. 
    In primo luogo,  la  disciplina  determina  gravi  impatti  sulla
pianificazione regionale poiche' il sistema di  smaltimento  presente
nella Regione Lombardia e' gestito in modo tale da creare  condizioni
concorrenziali al fine di ottimizzare la tariffa di  smaltimenti  per
il servizio al cittadino. 
    Con l'ammissione di rifiuti speciali pericolosi  a  solo  rischio
infettivo, prevista dal  comma  6  dell'art.  35,  nel  rispetto  del
principio di prossimita' sancito dall'art. 182-bis, comma 1,  lettera
b) del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  si  alterano  tali
equilibri. 
    Infatti, poiche' - come detto -  il  sistema  di  smaltimento  in
Regione Lombardia e' attualmente gestito in modo tale da creare delle
condizioni  concorrenziali  che  hanno  ottimizzato  la  tariffa   di
smaltimento per il servizio al cittadino, le  misure  introdotte  dal
Governo, ed il conseguente ingresso nel mercato di ulteriore rifiuto,
a costi  nuovamente  negoziabili,  alterera'  l'equilibrio  economico
stabilito, con potenziale aggravio  della  tariffa  per  i  cittadini
lombardi. 
    E' bensi' vero che il comma 7 prevede la possibilita' di utilizzo
del fondo per ridurre le tariffe di gestione dei rifiuti  urbani,  ma
non si  hanno  certezze  circa  la  possibilita'  che  gli  eventuali
squilibri possano essere compensati in tal  modo  e,  comunque,  cio'
dovrebbe avvenire pregiudicando le finalita' di  bonifica  a  cui  lo
stesso fondo e' ugualmente destinato e alle quali la  Regione,  nella
propria autonomia politico-finanziaria, intende dare priorita'. 
    Alla luce di quanto  precede,  si  chiede  che  venga  dichiarata
l'incostituzionalita'  dell'art.  35,  del  d-l.  n.  133  del  2014,
convertito con modifiche dalla l. n. 164  del  2014,  anche  sotto  i
profili appena esposti.